7 dicembre 2011

Guerra e pace

Ho terminato ora la seconda parte del romanzo di Tolstoij. Sono stati due racconti molto diversi per l'ambientazione: dapprincipio le grandi case aristocratiche dell'intatta Russia zarista, e poi il teatro di guerra, così grande negli intenti e così piccolo nelle miserie.
Ma i due fili della narrazione sono tenuti insieme dal sacro arcolaio delle Parche, e il senso di un destino incontrollabile già incombe sui personaggi, che pure solo da poco sono comparsi sulla scena. Il dramma dell'inesorabilità degli eventi, che è la cifra delle storie degli eroi, è già ben presente negli occhi e nel cuore del principe Andrej Bolkonskij. Egli è tormentato, sia a casa che al fronte, da una malinconia amara, una coscienza del fallimento cui è destinato il genere umano che non gli consente di godere di alcuna gioia. 

Il giovane Nikolaj Rostov è invece il ritratto della disillusione, ed è ai suoi pensieri che viene affidato il raccordo tra la prima e la seconda parte del romanzo: "La nera coltre della notte era appesa ad un braccio sopra il bagliore della brace. [...] Era solo. [...] Guardava i fiocchi di neve che volteggiavano sopra il fuoco e ricordava l'inverno in Russia, la sua casa calda e luminosa, la sua pelliccia soffice, la slitta veloce, il suo corpo sano, e tutto l'amore e le premure della sua famiglia." Leggere queste prime due parti è stato come farsi accompagnare da Tolstoij in un viaggio al di fuori della storia, dove si vede tutto e si soffre di tutto, ma nelle cui vicende non ci è dato di intervenire. Come Dante con Virgilio, o come Scrooge con i suoi fantasmi.