5 gennaio 2012

Downton Abbey

Questa sera ho finito di vedere la prima stagione di Downton Abbey, che ho registrato in tv e trasferito in quattro dvd. 

La serie è eccellente, un ottimo connubio tra sceneggiatura intelligente (il responsabile è Julian Fellowes, autore fra l'altro di Snob, edito in Italia da Neri Pozza), personaggi completi e vitali, ciascuno dalla personalità ben riconoscibile, costumi indimenticabili e una scenografia in ogni senso mozzafiato. Sembra quasi che le ambientazioni siano state scelte per celebrare la bellezza dell'Inghilterra. Il paesaggio incanta lo sguardo, anche grazie ad un accompagnamento climatico forse poco probabile (splende sempre il sole!) e gli interni di Downton (girati ad Highclere Castle) non lasciano spazio alla delusione.

L'atrio abbracciato dalle colonne e dalle navate gotiche dell'antica abbazia, la solenne biblioteca e gli arredamenti che brillano di eleganza ti fanno desiderare di tornate indietro di cent'anni, a quel tempo in cui il mondo sembrava ancora innocente e viaggiava lento, sospeso al filo sottile della pura bellezza. La prima serie è terminata con grande nostalgia da parte mia: si è chiusa alla notizia dello scoppio della guerra, culmine del progressivo disfacimento di un'epoca - come testimoniano le idee progressiste della figlia più giovane, Sybil, e la scelta di una delle cameriere di lasciare il servizio per diventare la segretaria dell'azienda del telefono. Lascia perciò decine di fili narrativi pendenti, e si freme per la seconda stagione, che da domenica inizia sulla BBC ma che è già disponibile in cofanetto (che tentazione!). Quale sarà il destino della primogenita, Mary? Come continuerà il suo conflitto con la sorella Edith? Che ne sarà di Matthew, il legittimo erede borghese di Downton? E riprenderà a funzionare regolarmente il preciso meccanismo dei piani bassi della casa, sapientemente regolato dal maggiordomo e dalla governante? Sì perché la maestria di questo racconto sta anche nell'equilibrio che instaura tra il racconto della famiglia del conte e quello della servitù, altrettanto avvincente e ricco di sentimenti. Il personaggio di Anna, in particolare, la cameriera personale delle ragazze, è dolce e positivo, confortante e ricco di speranza. Per certi aspetti mi ha ricordato la narratrice di The House at Riverton di Kate Morton, un'altra storia edoardiana intessuta sulla trama dell'opulenza, dell'inizio della libertà dei costumi, dei segreti di famiglia. È più facile, dopo aver visto Downton, visualizzare le scene e gli invidiabili abiti del primo Novecento che caratterizzano anche il romanzo: e il rimpianto per il fascino perduto di un secolo fa è ancora più forte.

Il libro di Kate Morton, scritto benissimo com'è sua regola, è il lungo flashback di una centenaria che ricorda i suoi trascorsi di cameriera personale delle sorelle Hartford. Le sue memorie rievocano il lusso della grande casa, Riverton Manor, lo splendore dei vestiti e dei gioielli, il carattere diverso delle due ragazze, Hannah ed Emmeline, il cui legame viene infranto da un misterioso incidente nel giardino della dimora. Un colpo di pistola, e il (presunto?) suicidio del giovane poeta Robert Hunter, del quale entrambe erano innamorate, ai bordi della piscina, ha spezzato un'armonia forse solo apparente, e la rievocazione del passato da parte dell'anziana Grace si fa sempre più contrastata, soffocata dall'antico dovere al segreto, costretta dal dolore per la perdita dell'idillio, per il senso della caduta dell'innocenza. Ritorno a Riverton Manor, pubblicato in Italia da Sonzogno, è il romanzo di debutto di Kate Morton, ed ha rivelato fin da subito il suo grande talento. Dopo il recente successo europeo di The Distant Hours, siamo in attesa del suo quarto lavoro, ancora in fase di scrittura.