Terminato
il ripasso/studio per il test d'ammissione al TFA mi sono concessa una vacanza
in montagna che proprio ci voleva... E oggi che questo periodo di riposo volge
alla conclusione (purtroppo), sono giunta anche alla fine del libro che ho
portato con me per le gelide serate allietate dalle voci del vicino torrente e
degli abeti tutto intorno. The Last Letter From Your Lover di Jojo Moyes, best
seller nel Regno Unito e finalista in numerosi premi letterari, è stata una
lettura sorprendentemente bella. Ne sono stata attratta, lo confesso,
soprattutto in virtù di una copertina che aveva tutte le qualità per
magnetizzare il mio interesse: carta manoscritta, buste accartocciate,
francobolli annullati dal timbro postale... (vedi il passato post It all started with a letter). Ma
alla fine anche il racconto si è rivelato di buon livello. L'inglese è molto
intenso, i personaggi ben tracciati, la struttura controllata sapientemente,
con le giuste dosi di ritratto sociale, comunicazioni private, lodevole
attenzione alle scelte linguistiche e colpi di scena al punto giusto. Non
voglio parlare della trama di questo romanzo e consiglio di non leggerla
altrove, perché molta della sua bellezza sta proprio nell'avvicendarsi delle
emozioni e nell'accadere di eventi che non ti saresti aspettata. Si tratta di
una storia d'amore, certo, di una passione devastante che sembra in grado di
resistere anche alla vita stessa. Ma è soprattutto lo spaccato di un'epoca che
non esiste più, e la proposta di sentimenti che sembrano essersi dileguati con
il passare degli anni. In Italia il titolo del libro, edito da Elliot, è stato
tradotto in L'ultima lettera d'amore; la trasposizione non è evidentemente
precisa, ma è valida perché dà conto, credo, proprio di questa trasformazione
degli usi e dei costumi comunicativi. Quella "ultima" lettera d'amore
non è dunque il messaggio finale tra i protagonisti, Jennifer ed Anthony, ma ha
il valore dell'estrema tappa di un viaggio linguistico che è nato con la
scrittura ed è finito con l'era degli sms, delle email e delle chat. Il tono
della narrazione sembra proprio voler suggerire che la carta e la penna
fossero/siano gli strumenti più adeguati per l'espressione di sentimenti
autentici e brucianti... O è forse l'entità dei sentimenti stessi ad essere cambiata
con il mutare della scena umana?