Sono calate le temperature, da tutto il giorno non fa che
piovere e un forte vento scuote da ore gli alberi del cortile, immersi
nell’oscurità precoce. Tra pochi giorni è Halloween, e per celebrare la sua
atmosfera, gravida di ombre e di mistero, ho riaperto Il giro di vite (edizione Meridiani Mondadori), il racconto di
fantasmi che Henry James pubblicò nel 1898.
The Turn of the Screw
(con il suo incipit ho inaugurato questo blog, tanto tempo fa…) è una storia
che raduna molti dei topoi tipici della narrativa gotica: una maestosa e remota dimora, due bambini dal passato ambiguo, la solitudine di una giovane donna
e i suoi incontri con apparizioni che tanto assomigliano a fantasmi. L’io
narrante è quello di un’istitutrice assunta da un gentiluomo affascinante
e misterioso per prendersi cura dei due nipotini di lui, Flora e Miles. La
giovane si trasferisce così nella lontana e solinga Bly (Essex), e mentre nelle prime
settimane non fa che gioire della propria nuova condizione (i bambini, ella
scrive, sono deliziosi e non le danno alcuna preoccupazione), con l’andare del
tempo l’atmosfera intorno a lei si fa gradatamente cupa e spaventosa. La
giovane inizia infatti a vedere nei dintorni, e anche dentro casa, due
personaggi, un uomo con i capelli rossi e una donna vestita a lutto. Grazie ai
racconti della governante di Bly, Mrs Grose, ella scopre che i due non sono
esseri in carne ed ossa, poiché la loro descrizione corrisponde ai tratti di
due impiegati della casa (la prima istitutrice e il giardiniere) entrambi morti
in circostanze terribili. La narratrice riempie le pagine del proprio spavento,
delle proprie notti insonni e della propria preoccupazione per le sorti dei
bambini, in un crescendo di terrore che raggiunge il culmine quando la donna
realizza che Miles e Flora non sono le vittime, ma i complici della sottile
tortura psicologica alla quale i “fantasmi” la stanno sottoponendo.
L'istitutrice impersonata da Michelle Dockery nella versione cinematografica del 2009 |
La genialità e la forza di Il giro di vite stanno proprio, come è frequente nella narrativa di
Henry James (ineguagliabile maestro di scrittura), nel valore psicologico
della vicenda e della sua ricezione. Straordinario esempio di letteratura
modernista, questo racconto si distingue per le sue mancate verità, e per la
molteplicità delle sue possibili interpretazioni. La vicenda è narrata da un
autore fisico (James) che parla di un personaggio (Douglas) che legge ad alcuni
amici il diario di una donna (l’istitutrice) di cui è stato innamorato. I
filtri attraverso i quali il resoconto della vicenda raggiunge noi lettori sono
così numerosi che non possiamo che interrogarci sulla sua completa veridicità.
Inoltre la scrittura è così perfetta e sospinta da un climax così potente che
ci lasciamo suggestionare dalla vicenda narrata a tal punto da non comprendere
dove stia il confine tra realtà e immaginazione: esistono davvero i fantasmi? o
vivono essi sono nella mente dell’istitutrice? cosa sanno, davvero, Miles e
Flora? e una domanda che ha infestato la mia personale esperienza di lettura… e
se il fantasma fosse l’istitutrice stessa?
Il giro di vite è
un capolavoro della letteratura che è stato oggetto di infiniti studi critici,
ma del quale è stato impossibile sciogliere tutti i nodi e risolvere gli
innumerevoli enigmi. Come per ogni grande classico della scrittura, sta a noi,
a noi lettori, sprofondare negli abissi di questa storia alla ricerca della
nostra verità; e sarà la nostra fantasia a illuminare gli angoli bui che
il narratore ha voluto lasciare sospesi, arcani, per rendere la propria opera
definitivamente immortale.