Ho appena terminato l’ultimo
romanzo di Kate Morton, The Secret Keeper,
uscito sul mercato anglosassone a metà ottobre e atteso con tanta impazienza e curiosità.
Ho incontrato per la prima volta questa straordinaria scrittrice australiana
quando cinque anni fa ho acquistato, nella libreria Waterstone’s di Wells
(Somersetshire), la sua opera prima, The
House at Riverton. Questo libro, di cui ho già parlato in più d’uno dei
miei post (cliccate qui), è stato ripubblicato recentemente in italiano
da Sonzogno. Nel 2009 mi sono poi imbattuta nel secondo romanzo di
Morton, The Forgotten Garden, in una suggestiva libreria ai piedi del vulcano che accoglie il Castello
di Edimburgo (la traduzione italiana, Il
giardino dei segreti, è edita da Sperling&Kupfer); infine, The
Distant Hours, del 2010 (tradotto per Sperling&Kupfer in Una
lontana follia, cliccate qui), è stato un grande libro, nel quale l’autrice
ha iniziato l’esplorazione di quello spazio storico, indubbiamente ricchissimo
di suggestioni narrative, rappresentato dalla seconda guerra mondiale.
The Secret Keeper entra nel vivo di questo contesto, poiché la sua parte centrale è ambientata nella Londra ferita e piagata dai bombardamenti nazisti, e tutti i personaggi che abitano il tempo presente di questa storia subiscono in qualche modo le conseguenze di quell’epoca e dei suoi avvenimenti.
Com’è mia abitudine, non rivelerò
i tratti salienti della trama: mi voglio limitare a dire che questo libro narra
di tanti tipi d’amore, di tanti tipi di sofferenza e di tanti tipi di catarsi. È
la storia di Laurel Nicolson, un’attrice da Oscar che in occasione degli ultimi
giorni di vita della mamma novantenne intraprende una ricerca nel suo passato
che la porterà a scoprire segreti profondissimi, a scardinare tante certezze e
a conoscere un’“altra vita” della madre, spesa sullo sfondo della miseria e
degli incendi della capitale investita dal Blitz.
Una fra le più emblematiche immagini del Blitz su Londra: la cattedrale di St. Paul sopravvive ai bombardamenti del 29 dicembre 1940 |
I colpi di scena si susseguono
fino all’ultima pagina, ma la capacità di gestire la suspense è solo una delle
straordinarie qualità della scrittrice, che anche in questo libro, come nei
suoi precedenti, sa governare con maestria l’alternanza di numerosi e diversi
piani temporali e si dedica con intensità alla disamina di quelli che sembrano
essere ormai i suoi temi più cari. La relazione tra il presente e il passato è
forse quello più importante, e viene sempre trattato nella convinzione che ciò
che oggi “è” è sempre e inevitabilmente il risultato di ciò che “è stato”. Il potere
del ricordo è dunque preponderante in tutte le narrazioni di Morton (che tutte
contengono a volte teneri a volte inquietanti ritorni all’infanzia – The Distant Hours è l’esempio più eclatante
di questo aspetto), è spesso reso visibile da echi di voci e di musiche
distanti, e ad esso si accompagna la quasi necessità del segreto, e l’urgenza
del suo disvelamento. Il processo di scavo a ritroso nel tempo porta ogni volta
con sé un richiamo alla messa in discussione della propria identità e alla
revisione dei rapporti familiari (ecco di nuovo l’importanza dell’infanzia come
momento cruciale per la formazione del proprio essere al futuro – traduco da The Secret Keeper: “Il paesaggio dell’infanzia
era più vibrante di ogni altro. Non importava dove si collocasse o quale fosse
il suo aspetto, le sue visioni e i suoi suoni si imprimevano in modo diverso da
quelli incontrati più in là [nella vita]”). E spesso tale viaggio nel passato è
stimolato dalla presenza di oggetti di forte valore emotivo e di grande
importanza ai fini del racconto, quasi degli oggetti magici (libri, fotografie,
gioielli, …) che sembrano quasi contenere in se stessi la soluzione agli enigmi
e l’apertura verso la verità.
Fonte: http://favim.com/image/142641/ |
“Il bush [paesaggio di boschi e prateria tipico dell’Australia, simbolo
di uno spazio sconfinato ed inesplorato molto importante nelle espressioni
artistiche e letterarie di quel Paese] era vivo: gli alberi parlavano l’uno con
l’altro con vecchie voci di pergamena, migliaia di occhi invisibili ammiccavano
dai rami e dai ceppi caduti, e Vivien sapeva che se si fosse fermata e avesse
premuto l’orecchio sul duro suolo avrebbe sentito la terra chiamarla, cantando
i suoni dei tempi antichi.”
Quando si incontrano libri come
questi, scritti in questo modo… è così che si diventa dei lettori contenti.