25 dicembre 2012

Tanti tanti auguri!

Foto di Mara Barbuni

22 dicembre 2012

Piccole donne

danidraws.com
“Natale non sarà Natale senza qualche regalo”, brontolò Jo, sdraiata sulla stuoia del caminetto.
Quand’è Natale non si può evitare di rileggere qualche brano di Little Women, il capolavoro di Louisa May Alcott suddiviso in italiano in due libri, Piccole donne e Piccole donne crescono. Non si può evitare perché la storia inizia a Natale, è piena di buoni sentimenti, è commovente al punto giusto (specie la seconda parte) e propone dei modelli femminili di grande bellezza. Josephine, alter ego dell’autrice, è il personaggio favorito più o meno da tutte le lettrici, perché è irruenta, testarda, pasticciona e passionale – un vero e proprio prototipo femminista, almeno fino al momento del suo ritorno da New York. Da adolescente io preferivo Margaret, per la sua dolcezza, il suo fare pacato, i suoi piccoli sogni. Anche Amy, spesso sottovalutata, è un personaggio di spessore: forse non raggiunge le altezze delle altre sorelle da una prospettiva morale, ma è di certo importante da un punto di vista narrativo. Amy è quasi una figura jamesiana, perché è colei che abbandona la casa natale per andare alla conquista dell’Europa, e laggiù (quaggiù, dovrei dire…) cambia la sua vita, si lascia alle spalle il vestitino rigido della moralità impostale dai suoi genitori e inizia ad inseguire le ambizioni che ha sempre nutrito, sin da bambina. 
Per quanto rifiuti la proposta di matrimonio del ricchissimo Vaughan, ella finisce per sposare il “caro Laurie”, che sebbene rappresenti un indissolubile legame con la famiglia d’origine è pur sempre un partito invidiabile, un uomo che le garantirà benessere economico illimitato, eleganza, sostanze e un’eccellente posizione sociale. E poco sembra importare se lui, non troppo tempo prima, sia stato respinto da Jo: Amy comprende, ed è lei stessa ad ammetterlo, che Laurie la sta forse chiedendo in moglie per ritrovare un accesso dentro la famiglia March, ma sembra pronta anche a combattere per ottenere il suo amore e la sua attenzione esclusivi. Noi lettori ci chiederemo sempre se Laurie abbia davvero dimenticato la sua Jo, e anche se lei abbia mai rimpianto di averlo sostituito con quel bizzarro professore tedesco che la inchioderà a far da maestra in un’enorme scuola per trovatelli, ma di certo non abbiamo dubbi che Amy abbia raggiunto il suo obiettivo. E personalmente mi sono sempre ritrovata ad ammirarla per la sua tenacia. 


Il film del 1994 diretto da Gillian Anderson, con il cast di tutto rispetto composto da Susan Sarandon (la mamma), Trini Alvarado (Meg), Wynona Ryder (Jo), Kirsten Dunst (Amy bambina) e Claire Danes (Beth), è splendido soprattutto per la parte iniziale dedicata proprio al Natale, per le sue ambientazioni (straordinaria la casa della zia March), tutti i suoi colori e una colonna sonora indimenticabile. Vi lascio ad ascoltare una suite profonda, struggente e molto meditativa (la trovate anche qui), che raccoglie i brani principali in un vero dono di splendida musica e di forte emotività. Ascoltatela la sera della vigilia, mentre le vostre candele accese aspetteranno che arrivi il Natale...




17 dicembre 2012

Per il compleanno di Jane Austen

janeausten.co.uk
Ieri è stata una giornata particolare. Come molti sapranno, e come internet e Facebook ci hanno debitamente ricordato, ieri era il giorno del compleanno di Jane Austen. Negli ultimi anni questo genio letterario, "la più perfetta tra tutte le donne" (come ebbe a definirla la sua straordinaria epigona Virginia Woolf) si è trasfigurata nell'immaginario collettivo fino ad assumere i tratti di una vera e propria eroina. Nei siti e nei blog a lei dedicati si è parlato non solo del suo stile ineguagliabile, non solo della pregnanza dei suoi ritratti sociali, non solo del suo talento ironico nel mettere in risalto tutte le sfaccettature del rapporto tra i sessi, ma anche della sua propria esistenza, dei suoi amori (veri o presunti), dei suoi conflitti, della sua solitudine. E così ella è diventata un modello, una luce da inseguire, una dispensatrice di consigli e talvolta persino di conforto.  
Ebbene, questa donna eccezionale, nata nel lontano 1775, ha ricevuto nella giornata di ieri tanti auguri di buon compleanno, da tutto il mondo e in tutte le forme possibili - lettere, post, opere di ricamo, arte figurativa, letture ad alta voce, esperimenti di cake design, - anche in preparazione del grande evento del 28 gennaio 2013, il bicentenario della pubblicazione di Orgoglio e pregiudizio. Anch'io ho festeggiato, e forse nel miglior modo possibile. Ho incontrato per la prima volta di persona due deliziose "amiche di blog", insieme abbiamo brindato a Jane con una tazza (anzi due...) di ottimo tè, e abbiamo rievocato i rispettivi ricordi delle nostre visite a Chawton Cottage.
Il momento culminante della giornata è stato il passaggio alla "Libreria delle Donne" di Bologna, un luogo d'incanto che mi ha riempita di emozioni. La Libreria delle Donne è uno spazio dove la quotidianità sembra lasciare il passo alla bellezza. Le due padrone di casa, due vere ladies, ti intrattengono con garbo, offrono spunti di lettura impagabili e mettono a disposizione un patrimonio librario - anche prime edizioni o volumi fuori catalogo - che lascia senza fiato. Un ritratto di Virginia Woolf campeggia proprio di fronte all'ingresso, e tanti tanti libri scritti da donne stipano le altre pareti. Irresistibili sono state per me le opere della mia amatissima Rebecca West, della quale ho parlato nello specifico nel post http://ipsalegit.blogspot.it/2011/05/rebecca-west.html. West è autrice di una trilogia autobiografica - the "Aubrey trilogy" che esordisce con lo splendido The Fountain Overflows e si chiude con Cousin Rosamund, che proprio alla Libreria delle Donne ho comprato in italiano (Rosamund).
Insomma la giornata è stata una di quelle degne di essere vissute: e non c'è compagnia migliore delle voci femminili (delle scrittrici e delle amiche) per trascorrere appuntamenti importanti come questo.


1 dicembre 2012

La coppa d'oro

Il regista James Ivory è notoriamente innamorato della grande letteratura ambientata nel primo Novecento. Tra le sue opere si contano le trasposizioni di Camera con vista e Casa Howard di E.M. Forster, Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro, e dei romanzi di Henry James Gli Europei, Le Bostoniane e La coppa d'oro. Quest'ultimo film mi ha fatto compagnia nel piovoso pomeriggio che è appena trascorso, e mi ha ricordato di quando ho letto il capolavoro "maturo" della narrativa jamesiana. 
The Golden Bowl (1904) è un trionfo nell'analisi psicologica tipica della scrittura dell'eccelso autore (anglo)americano, una disamina attenta, quasi puntigliosa, delle sottili dinamiche di coppia che sorreggono non uno, ma ben due matrimoni. La storia si apre  quando il principe impoverito italiano Amerigo si trova a Londra per sposare Maggie Verver, unica figlia di un vedovo americano, ricchissimo collezionista d'arte. Lì incontra Charlotte, in passato sua amante e compagna di scuola di Maggie; i due decidono di non rivelare alla futura sposa della loro precedente conoscenza e le nozze si celebrano sotto la flebile ombra di un primo segreto. L'evoluzione della vicenda porta Charlotte a sposare il padre di Maggie, Adam, cosicché il romanzo si struttura come una piéce alto borghese incentrata sui meccanismi ipocriti e pseudo-moralisti di una ambigua famiglia allargata. Charlotte e Amerigo riprendono la loro storia d'amore, ora macchiata dall'adulterio, mentre il rapporto tra Maggie e suo padre sembra non riuscire mai a liberarsi dal cappio dell'infantilismo: fino a un certo punto della storia sembra che la ragazza non sia in grado di sfuggire al proprio ruolo di figlia (ricordando così in un certo senso la disgraziata Catherine del jamesiano Washington Square), aprendo così il proprio personaggio a innumerevoli interpretazioni psicologiche. 
Kate Beckinsale nel ruolo di Maggie Verver
Com'è tipico di James, la narrazione è densa di queste analisi interiori, ed è l'esplorazione della coscienza dei personaggi a dominare. Anche in questo romanzo è preponderante il tema del contrasto tra il pericoloso cinismo degli europei (Amerigo) e l'innocenza degli americani (Maggie), anche se il seguito della storia si dedica alla rappresentazione dello sviluppo del personaggio di Maggie da creatura ingenua e inconsapevole a donna forte e tenace, disposta a tutto - anche a sacrificare la propria innata bontà e onestà - per tenersi stretto il marito. Questo aspetto l'ha resa ai miei occhi molto simile alla May Welland Archer di Edith Wharton (L'età dell'innocenza; cito questo romanzo qui). Premesso che L’età dell’innocenza è uno dei miei libri preferiti, di quelli che ho letto e riletto senza stancarmene mai, e anzi cogliendone ogni volta una diversa bellezza, c’è da dire che il film che ne ha tratto Martin Scorsese (1993) è un capolavoro. Subito affascinante e significativa è la sequenza di immagini che accompagnano i titoli di testa – una lunga serie di fiori opulenti mostrati nell’atto della loro fioritura, e quindi nel culmine della bellezza già associata al loro inevitabile declino: entro i primi minuti del film si comincia già a percepire che l’“innocenza” presentata dal titolo non è che ostentazione, un fulgido bianco sepolcro che nasconde la natura ombrosa, dubbiosa, tormentata di una società trionfante e lussuosa, ma sull’orlo della fine. Il lusso è un personaggio fondamentale e indelebile di questa storia – così come di The Golden Bowl – perché è il simbolo di quella gabbia dorata nella quale uomini e donne dalla sensibilità un po’ troppo pronunciata si rinchiudevano, inconsapevoli della claustrofobica sorte che li attendeva. Uomini e donne come Newland Archer (che sogna di sfuggire al matrimonio, fitto di imposizioni e convenzioni, contratto con May) e il principe Amerigo (che rimpiange la sua Roma lenta, solare e sensuale); come la contessa Olenska e Isabel Archer (protagonista di Ritratto di signora di Henry James), che si sposano in ricchezza votandosi a un destino di pena, rimpianti, umiliazioni, solitudine e silenzio.
Daniel Day Lewis e Winona Ryder
nei panni di Newland
e May Archer
E poi ci sono le donne come May e come Maggie, che ritratte come angeli (nei film spesso vestite di chiaro, al contrario delle loro antagoniste), sempre quiete e sorridenti, nascondono un’atroce volontà di dominio e di conservazione delle apparenze, del tutto incuranti del dolore che i loro intenti infliggono a chi sta loro vicino. La scena culminante del film di Scorsese è quando May, ormai a conoscenza della storia d’amore tra il marito e la contessa Olenska, affronta Newland nella semioscurità soffocante dello studio di lui. Egli, ormai prostrato dalle bugie e dalla maschera del coniuge perfetto, le comunica che vorrebbe intraprendere un viaggio da solo – evidentemente per fuggire, per trovare respiro. May allora celebra il proprio trionfo annunciandogli di essere incinta e di non poter dunque certo rinunciare a lui; e quando si allontana dalla stanza – sempre quieta, sempre sorridente – la telecamera stringe sulla coda del suo abito da sera, che striscia sul pavimento come un enorme, crudele e ormai sazio serpente.
L’inganno nascosto dietro le apparenze è l’oggetto principe delle esplorazioni narrative di Henry James e della sua migliore “allieva”, Edith Wharton: ed è ciò che rende le loro opere così sublimi, e così impareggiabili nella letteratura del Novecento.