13 agosto 2013

Acqua Alta


In queste sere senza televisione mi sto dedicando a una lettura molto leggera, Acqua Alta di Donna Leon, consigliato da un mio professore come esempio di rappresentazione stereotipata dell'Italia. Perché neanche i best-seller sono esenti da scivoloni tutt'altro che dignitosi.... Ebbene sì, i gialli di Donna Leon sono conosciutissimi nel mondo, ne sono ricche anche le librerie di Berlino, e la serie con protagonista il veneziano Commissario Brunetti è arrivata con l'ultima recente uscita al ventunesimo episodio. Ma cosa ci sarà di tanto attraente in queste storie, mi sono chiesta aprendo la prima pagina. E ora che ho superato la metà, confesso, continuo a domandarmelo.
La storia si apre con una aggressione ad una storica dell'arte, compiuta fra le mura della sua stessa casa. Fra calci e pugni, i due delinquenti le intimano di non presentarsi all'appuntamento con il direttore del museo di Palazzo Ducale, il quale viene trovato morto pochi capitoli di seguito. Il titolare dell'indagine, Guido Brunetti, è costretto a svolgere le sue inchieste in una città minacciata dalle ondate di alta marea, porta con sè gli stivali di gomma, e si ritrova ad avere a che fare con personaggi che più che "round characters" sono maschere, allegorie - e l'Italia, bisogna dire, ne esce un po' malconcia.
C'è il funzionario della Questura con il fermacravatta a gioiello, i capelli impomatati e una tendenza a dare la propria attenzione solo ai potenti e ai benestanti (atteggiamento che si riscontra un po' in tutti i veneziani, baristi, infermieri, poliziotti, ecc.); ci sono ruoli di prestigio della conservazione del patrimonio artistico della città occupati da furfanti e contrabbandieri; c'è persino una segretaria stupefacente, che desta la sorpresa del Commissario per essere stata capace di fare una telefonata in inglese. Per non parlare della rappresentazione degli italiani del Sud, dipinti quasi indistintamente come delinquenti, subdoli ed eccessivamente curati nell'aspetto.
Insomma, il libro è piacevole perché conferma le attese, ma non posso meravigliarmi del fatto che l'autrice, che vive a Venezia da trent'anni (e sembra quasi vantarsene, nella cura che si percepisce nella descrizione degli itinerari di Brunetti su e giù per la città), non ne abbia permesso la traduzione in italiano.
Forse un altro aspetto della sua viziata visione degli italiani è proprio il non aspettarsi che siamo perfettamente in grado di leggere i suoi romanzi in lingua originale : )