9 aprile 2015

Treveryan

Ogni tanto ripenso al mio viaggio in Cornovaglia, ormai quattro anni fa. I ricordi sono ripetutamente sostenuti da fotografie, pagine di libri e immagini che si rincorrono sullo schermo, e rievocano sempre ampie distese di acqua turchese merlata di spuma, vertiginose scogliere, alberi di barche che dondolano nei porti odorosi di pesce, viuzze colorate di fiori e strette fra botteghe sbilenche dalla facciata in calce bianca. Ma la Cornovaglia è anche luogo di misteri e di antiche tradizioni, che raccontano storie di famiglie, di segreti e di maledizioni. 
Quattro anni fa, in una pittoresca libreria di St. Michael’s Mount (corrispettivo inglese di Mont Sant Michel), ho comprato un romanzo che è rimasto intatto sullo scaffale fino al mese scorso. Si intitola Treveryan, e l’autrice è Angela du Maurier – sorella della più celebre Daphne. È questo un libro davvero «unputdownable», come dicono gli inglesi: quando lo si inizia è quasi impossibile chiuderlo e riporlo sul comodino. 
Siamo nei primissimi anni del Novecento. Treveryan è un’antica e sontuosa dimora che si erge sulla costa della Cornovaglia, e i protagonisti della storia sono gli ultimi discendenti della famiglia che la abita: Bethel, la sorella maggiore, Veryan, il ragazzo, e Lerryn, la più giovane. Il romanzo si apre sulla loro infanzia e segue la loro formazione e le loro vicende nel dipanarsi degli anni, esplorando con coraggiosa lucidità il delicatissimo e a tratti misterioso rapporto che li lega l’uno all’altro e che li avvince al loro destino. 
La famiglia Treveryan, infatti, è tormentata da una maledizione. Il libro è la narrazione di come i tre personaggi affrontano una sorte crudele e intollerabile: è l’analisi dei loro terrori e delle loro dolorose cecità, e delle passioni, talvolta violente, che li caratterizzano in questo loro scontrarsi con la vita. È un racconto di isolamento e di tormento, di desiderio di liberazione e di paura della fuga, è un intreccio di storie d’amore di diversa natura, in cui l’attaccamento e l’affetto palpitano ai margini dell’ossessione, come sulla cresta di una scogliera a picco sull’oceano. I brani che ho sottolineato sono troppo numerosi per riportarli tutti qui, ma uno di loro dischiude una conoscenza dell’animo umano così forte che non posso che citarlo (la traduzione è mia, non esiste versione italiana di questo libro). Nel terzo capitolo della seconda parte, Veryan è un giovane uomo che inizia a sentire il bisogno di lasciare Treveryan e le sue ombre per andare a vedere il mondo. Bethel ha invece deciso di diventare una sorta vestale a difesa della casa avita, mentre la minore, Lerryn, che è l’unica rimasta all’insaputa della maledizione di famiglia, ma è sottoposta a un controllo severissimo da parte di Bethel, è incapace di confrontarsi sia con i fratelli che con la realtà. Poco prima che Veryan parta per il suo lungo viaggio, gli chiede: 
«“È così che ti senti? Inquieto?” disse. Egli la guardò, sorpreso. 
“Tu cosa sai dell’inquietudine?” le domandò. 
“Non sono una sciocca” replicò lei, “e neppure la sorellina che pensi che io sia. Persino io riesco a vedere come Bethel ti stia, come dire… assorbendo completamente.” 
“Non voglio sentire neanche una parola contro Bethel!” 
“Oh, io lo so come siete totalmente presi l’uno dall’altra” ribatté lei, impaziente, “ma ammetti che talvolta desideri stare in compagnia di qualcun altro, qualcuno che non siamo noi. Io so che per me è così” sospirò. […] 
“Tu non sai come la vita di Bethel sia stata… devastata” disse lui, brevemente. 
“E a nessuno di noi è consentito dimenticarlo” replicò Lerryn, nervosa. “Nonostante il fatto che del passato non si possa parlare! Vite devastate... certo che sì! La mia ha tutto l’aspetto di una vita devastata ancor prima di iniziare a essere una vita!”» 
Cornovaglia. Foto di Mara Barbuni, 2011
Il racconto di una giovinezza irrequieta e priva di libertà fa i conti con l’aspro contrasto tra lo sprigionarsi della sensualità e il gelido grigiore della reclusione. I tre personaggi sperimentano la passione e la disperazione, mentre le mura oscure di Treveryan si stagliano sulla scogliera, contro un cielo talvolta azzurro profondo e talvolta tempestoso, e il mare di sotto tuona e ruggisce addosso alle rocce. Treveryan è un romanzo intenso, pieno, di cui si potrebbe scrivere per pagine e pagine. Racchiude in sé il senso enigmatico e ineluttabile della nemesi, l’implacabile desiderio della vendetta, l’anelito a un’esistenza diversa e impossibile, l’incapacità, dolente, straziante, di venire a patti con la propria identità. Man mano che si procede con la lettura, il libro ci risucchia sempre più in un vortice di passionalità e disperazione e diventa un capolavoro indimenticabile.