12 novembre 2015

150 anniversario della morte di Elizabeth Gaskell

Cari lettori, oggi, nel 150 anniversario della sua morte, ricordiamo la grande scrittrice vittoriana Elizabeth Gaskell, che lasciò improvvisamente la sua famiglia e i suoi lettori mentre chiacchierava e beveva il tè insieme alle figlie nel salotto di Holybourne, la casa acquistata per fare una sorpresa al marito nel silenzio e nei profumi dello Hampshire.
Holybourne oggi - ©IpsaLegitPictures 2015
In quei giorni Elizabeth stava concludendo gli ultimi capitoli di Mogli e figlie, il romanzo che rimarrà per sempre nella storia della letteratura come il suo capolavoro.
Scrive l’editore della Cornhill Magazine, nella Nota in chiusura del romanzo (tradotta nella versione italiana del libro, pubblicata lo scorso maggio da Jo March): «è inutile speculare su ciò che sarebbe stato fatto da quella mano, forte e delicata, che non potrà mai più creare alcuna Molly Gibson – nessun altro Roger Hamley. In questa breve nota abbiamo ripetuto tutto ciò che si sa in merito ai suoi piani per la storia, che sarebbe stata completata con un ultimo capitolo. Non c’è dunque molto da rimpiangere, per quanto concerne il romanzo; il rammarico di coloro che l’hanno conosciuta non riguarda tanto la scrittrice, quanto la donna – una delle più gentili e sagge del suo tempo. Eppure, volendo considerare unicamente i suoi meriti di scrittrice, la sua morte prematura è motivo di grande rincrescimento. È chiaro, in questo romanzo Mogli e figlie, nella squisita piccola storia che l’ha preceduto, Mia cugina Phillis, e in Gli innamorati di Sylvia, che in quei cinque anni Mrs. Gaskell aveva intrapreso una nuova carriera, con tutta la freschezza della gioventù, e con un intelletto che sembrava essersi liberato della sua argilla per rinascere ancora una volta. Questo “liberarsi dell’argilla” dev’essere interpretato in senso stretto. Tutte le menti sono in qualche modo avvolte dalla “veste di fango” in cui sono contenute; ma poche di loro mostrarono di essere fatte di vile terra meno di quella di Mrs. Gaskell. È sempre stato così; ma, di recente, persino la lieve sfumatura delle origini sembrava essere svanita.
Leggendo uno qualunque dei tre libri appena citati, ci si ritrova trascinati fuori da un mondo abominevolmente malvagio, che si trascina nell’egoismo e puzza di passioni meschine, e dentro un universo dove ci sono molta debolezza, tanti errori e lunghe e amare sofferenze, ma dove è possibile alle persone condurre una vita placida e sana; e, per di più, si avverte che questo mondo è reale almeno quanto l’altro. Lo spirito benevolo che non pensa male di nessuno effonde luce dalle pagine; e mentre noi le leggiamo, respiriamo l’intelligenza più pura, che tratta di emozioni e di passioni che hanno radici vive nella mente, nell’abbraccio della salvezza, e non di quelle che marciscono perché ne sono escluse. Questo spirito si manifesta specialmente in Mia cugina Phillis e in Mogli e figlie – le ultime opere dell’autrice; esse sembrano dimostrare che, per lei, la fine della vita non era una discesa tra le zolle della valle, ma un’ascesa nell’aria più limpida delle colline che aspirano al cielo. [...] Questi ultimi romanzi di Mrs. Gaskell sono tra i migliori del nostro tempo» (Mogli e figlie, pp. 681-2).

3 novembre 2015

Omicidi all'inglese - seconda puntata

Le storie di Auguste Dupin, linvestigatore dei racconti di Edgar Allan Poe, sono caratterizzate da un contesto urbano: sono tutti racconti ambientati a Parigi. Il corrispettivo inglese di Dupin, lo Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle (1859-1930), agisce soprattutto a Londra, confermando il diffuso senso di inquietudine sociale e psicologica dovuta alla improvvisa espansione e modernizzazione delle grandi città europee. Ha scritto il grande critico Walter Benjamin che “l’originale contesto sociale delle detective stories è l’annichilimento delle tracce dell’individuo nella folla che contraddistingue la grande città” (Saggi su Charles Baudelaire). Il primo libro in cui fa la sua comparsa Sherlock Holmes è Uno studio in rosso, del 1887, che introduce i personaggi di Holmes e di John Watson, un ex medico militare reduce della guerra in Afghanistan. Il loro sodalizio investigativo viene descritto in quattro romanzi (Uno studio in rosso, Il segno dei quattro, 1890, Il mastino dei Baskerville, 1902, La valle della paura, 1915) e in cinquantasei racconti, perlopiù scritti in prima persona dallo stesso Watson. La caratteristica principale delle avventure Sherlock Holmes è, oltre al metodo deduttivo ereditato da Dupin, la popolarizzazione della scienza criminologica, cioè l'applicazione del metodo scientifico alle investigazioni criminali. In particolare, l’osservazione dettagliata delle tracce lasciate sulla scena di un crimine è una strategia che rimane valida anche nelle storie poliziesche dei giorni nostri, come le serie televisive del tipo CSI. 
Padre Ronald Knox
Con Conan Doyle abbiamo cambiato secolo. L’ultima raccolta di racconti dedicati al suo celebre detective, Il taccuino di Sherlock Holmes, risale al 1927. Nello stesso anno il critico e poeta T.S. Eliot pubblica un articolo in cui traccia una sorta di elenco delle caratteristiche di un buon racconto “giallo” (tra queste, la norma che prevede la presenza nella storia di una casa di campagna inglese); nel 1929 compare un’altra serie di norme, firmata dal teologo e scrittore Ronald Knox (1888-1957), che cura la raccolta The Best Detective Stories e nell’Introduzione spiega che “il romanzo poliziesco di tipo deduttivo deve avere come principale interesse il dipanamento di un mistero, un mistero i cui elementi devono essere presentati in modo chiaro sin dalle prime battute di un racconto, e la cui natura sia tale da suscitare una certa dose di curiosità – una curiosità che deve alla fine essere gratificata.” Il famoso “decalogo di Knox” prevede, per esempio, che il colpevole devessere un personaggio che compare nella storia fin dalle prime pagine; che tutti gli interventi soprannaturali o paranormali devono essere esclusi dalla storia; che nessun evento casuale devessere di aiuto allinvestigatore e neppure lui può avere uninspiegabile intuizione che alla fine si dimostri esatta; che lamico stupido dellinvestigatore, («il suo dottor Watson»), non deve nascondere alcun pensiero che gli passa per la testa e la sua intelligenza deve essere al di sotto di quella del lettore medio. 
I comandamenti di Knox governarono la scrittura di tutte le opere risalenti alla cosiddetta Golden Age of Detective Fiction, un periodo compreso tra gli anni Venti e gli anni Trenta. La maggior parte degli esponenti di questa sorta di “scuola di scrittura” era di origine britannica, ma allo stesso gruppo sono considerati appartenere Georges Simenon, S.S. Van Dine, Raymond Chandler e Ellery Queen. La Golden Age si caratterizza anche per la scrittura femminile: a questo periodo risalgono infatti le opere delle “regine del giallo” Agatha Christie, Dorothy L. Sayers, Margery Allingham e la neozelandese Edith Ngaio Marsh. Dorothy Sayers e Agatha Christie furono anche presidentesse del cosiddetto “Detection Club”, un club di famosi scrittori di romanzi polizieschi fondato nel 1930 e ancora attivo (l’attuale presidente è Simon Brett, scrittore molto prolifico, drammaturgo e autore di programmi radiofonici per la BBC, molti dei cui romanzi sono ispirati alla tradizione della Golden Age).
Dorothy L. Sayers (1893-1957) fu una delle prime donne a laurearsi a Oxford. Oltre che scrittrice di gialli, fu la traduttrice (in inglese) della Divina Commedia e della Chanson de Roland. Tra le sue opere più conosciute c’è Gaudy Night (1935), di cui non c’è traduzione italiana, che è considerato il “primo romanzo del mistero femminista”, perché esamina la lotta delle donne nell’Inghilterra degli anni Trenta per la conquista dell’indipendenza, e soprattutto del diritto a un’istruzione universitaria. Il segreto delle campane (1934), invece, approfittando della trama criminale esplora un tema importantissimo per la cultura inglese: quello legato al mondo dei suonatori di campane. In questo giallo l’autrice presenta ai lettori il classico schema dell’omicidio che si verifica in un piccolo villaggio di campagna, e che in qualche modo coinvolge l’istituzione parrocchiale e il parroco stesso. Se questo modello narrativo è di grandissima attualità, perché è il fulcro della serie televisiva (tuttora in produzione) Grantchester – dove un parroco reduce della seconda guerra mondiale affianca un detective della polizia nella soluzione di una serie di omicidi – non c’è dubbio che fu di grandissima ispirazione per gli scrittori della Golden Age. 
La morte nel villaggio (1930), per esempio, il primo dei dodici romanzi di Agatha Christie in cui compare il personaggio di Miss Marple, ha come titolo originale The Murder at the Vicarage, ovvero “Omicidio in Canonica”. Agatha Christie (1890-1976), l’autrice più tradotta al mondo, ha fatto dello schema narrativo dell’omicidio che avviene in uno spazio ristretto e ben delimitato una specie di marchio di fabbrica. Questo spazio limitato può essere, appunto, il villaggio (idea che ha ispirato anche le famose serie televisive di genere “giallo” Murder, She Wrote, Midsomer Murders e il recente Broadchurch), come in C’è un cadavere in biblioteca, Assassinio allo specchio, Il terrore viene per posta, Un delitto avrà luogo. All’interno di una casa di campagna, ma di una famiglia benestante (come sosteneva T.S. Eliot), si sviluppa invece il primo romanzo in cui fa la sua comparsa il detective belga – rifugiato di guerra – Hercule Poirot. Il libro, che segnò il debutto di Agatha Christie sulla scena letteraria, è Poirot a Styles Court (1920). Sempre in una residenza di campagna dell’alta borghesia si svolgono Poirot e la salma, La parola alla difesa, I sette quadranti e Istantanea di un delitto – il cui omicidio, però, avviene su un treno, quello delle 4.50 da Paddington. 
In generale, Agatha Christie ha la tendenza a tracciare i confini di un ambiente e a presentare subito il gruppo dei diversi personaggi, fra i quali ci saranno la o le vittime, l’assassino, e tutti i sospettati. In alcuni casi tutta la scena si verifica addirittura su mezzi di trasporto in movimento, per garantire l’impossibilità che l’assassinio sia stato compiuto da qualcuno proveniente dall’esterno: è il caso di Assassinio sull’Orient Express, ambientato sul treno, Poirot sul Nilo, su una nave, e Delitto in cielo, su un aereo. Le vicende di Non c’è più scampo riguardano la ristretta comunità che lavora su alcuni scavi archeologici in Iraq; Macabro Quiz si svolge in una scuola, mentre Corpi al sole è ambientato su un’isola ben separata dalla terraferma (esattamente come in Dieci piccoli indiani). Agatha Christie scrisse 66 romanzi e 153 racconti gialli, oltre a 6 romanzi rosa, una serie di opere teatrali e radiodrammi, un’autobiografia, una cronaca di viaggio e altri lavori. Quest’anno, in occasione del 125° anniversario della sua nascita, è stato indetto un sondaggio per votare i suoi migliori racconti del crimine: il vincitore è risultato Dieci piccoli indiani, seguito da Assassinio sull’Orient Express e da L’assassinio di Roger Ackroyd (1926). Quest’ultimo romanzo, ambientato ancora una volta in un villaggio, è considerato in assoluto uno dei suoi più riusciti, e al momento della sua pubblicazione destò grande clamore, perché violava una delle regole fondamentali del decalogo di Knox. 
La domanda che ci resta da porci, a questo punto, è: perché? Perché si leggono e si scrivono ancora gialli? Che cosa rende il genere della crime fiction così irresistibile, da più di cent’anni a questa parte?


2 novembre 2015

Omicidi all'inglese - prima puntata

Sabato scorso, alla Libreria Morelli 1867 di Dolo (Ve), ho parlato di crime fiction con un pubblico molto variegato per età e per interessi, ma ugualmente partecipe e preparato, in una data, il 31 ottobre, che secondo la cultura celtica e anglosassone segna la fine dell’estate e l’inizio della stagione delle ombre. Sull’oscurità e sul mistero la crime fiction ha costruito la sua fortuna – una fortuna che dura, e non accenna a indebolirsi, da circa centocinquant’anni; ma forse non è alle sue ombre che deve la sua celebrità, quanto alla luce che si accende alla fine di ogni storia. Una luce, quella della ragione, che dissipa le paure e gli obbrobri dell’omicidio grazie all’intervento di un detective
La figura del poliziotto e il concetto dell’indagine cui noi siamo abituati sono realtà piuttosto recenti. Prima che venissero ufficialmente create le forze dell’ordine, a metà dell’Ottocento, i governi erano solito convocare gli eserciti per controllare le rivolte o le sommosse, ma non esisteva un organo vero e proprio di prevenzione del crimine, o tantomeno di investigazione. Con l’inizio del XIX secolo, in Inghilterra, la fine delle guerre napoleoniche comportò l’insorgere di una grave crisi economica, il ritorno di grandi numeri di soldati ormai disoccupati, la mancanza di cibo e di ordine, e la scena sociale iniziò ad essere sconvolta da ricorrenti episodi di violenza. Per questa ragione si cominciò a pensare di fondare un vero e proprio corpo di polizia, la Polizia Metropolitana (MET), che però vide la luce, grazie al ministro Robert Peel, solo nel 1829. 
Nel 1842 però avvenne un omicidio la MET non fu in grado di risolvere, attirandosi lo sdegno e le ironie dell’intera opinione pubblica. Si decise dunque di fondare un apposito organo di investigazione, costituito da otto uomini (due ispettori e sei sergenti), cui fu dato il nome di “Detective Department”. Lo scrittore Charles Dickens ne era entusiasta, e sulle sue attività scrisse numerosi articoli. Nel suo romanzo Casa desolata (1852-3), un romanzo quasi kafkiano per la sua rappresentazione di una giustizia grottesca e malefica, egli creò il primo detective letterario nel personaggio di Mr. Bucket, su imitazione del vero ispettore Charles Field, che faceva parte del Detective Department e sul quale Dickens scrisse anche un saggio (On Duty with Inspector Field). I lettori iniziarono subito ad essere affascinati dall’idea del detective e della soluzione dei crimini.
Fra i primi romanzi polizieschi si annovera The Moonstone – in italiano La pietra di luna – del 1868, scritto da uno dei principali collaboratori di Dickens, suo compagno di viaggio e confidente, Wilkie Collins (1824-1889). La pietra di luna è un poliziesco autentico, imperniato su un furto di un diamante (la “pietra di luna”, appunto), e allo stesso tempo un romanzo molto inglese, perché assume la forma dello spostamento tra metropoli e periferia, ed entro quest’ultima cornice i fatti si svolgono in una classica residenza benestante di campagna. Collins ebbe sempre interesse per il gotico e per le personalità scisse, al limite del delirio: caratteristica della sua scrittura è quella del dubbio sull’identità, della dimensione onirica (è considerato il più “freudiano” dei narratori vittoriani), della messa in discussione del principio di verità. La donna in bianco (The Woman in White, 1859-1860), per esempio, è celebre per la catena infinita degli eventi e per le costanti strategie di verità e finzione che si accavallano. Per questa ragione, il romanzo costituisce un’enorme infrazione della regola del romanzo vittoriano centrata sull’onniscienza del narratore (che ha un unico antecedente narrativo in Cime tempestose), perché si basa su testimonianze plurali. La storia è infatti raccontata secondo lo schema dell’inchiesta o indagine processuale: gli avvenimenti vengono riportati da una serie di testimoni, alle cui deposizioni si aggiungono memoriali privati, lettere e un diario. Molto spesso le testimonianze sullo stesso evento sono addirittura divergenti: non c’è dunque una verità univoca, ma tante pseudoverità personali.
Più o meno agli stessi anni della scrittura di Wilkie Collins risalgono i settanta romanzi di Mary Elizabeth Braddon (1835-1915), amica di Collins e grande interprete del genere della letteratura “di sensazione” (sensational novel). Il più celebre fra i suoi libri è Il segreto di Lady Audley, che dal momento della sua pubblicazione del 1862 non è mai andato fuori stampa. L’importanza di questo romanzo sta nella sua trasgressione morale e nella sua espressione delle inquietudini, tipicamente vittoriane, riguardanti la sfera domestica. La casa, che per l’etica del tempo era considerata il rifugio perfetto da ogni pericolo, diventa un luogo oscuro e pericoloso, e la donna, il proverbiale “angelo del focolare”, assume i tratti della violenza, del crimine, e della violazione delle basilari regole strutturali della famiglia.
C’è un altro nome femminile meno conosciuto, eppure importantissimo per tracciare una storia della detective story (anzi, pare che questo termine l’abbia proprio inventato lei): è quello dell’americana Anna Katherine Green (1846-1935), che introdusse nei suoi romanzi la figura di una donna investigatrice, Amelia Butterworth (prototipo di Miss Marple) che assiste nelle indagini il detective Ebenzer Gryce della polizia metropolitana di New York. Green ha creato anche il personaggio di Violet Strange, una ragazza dell’alta società con una doppia vita da investigatrice. La critica attribuisce a Anna Katherine Green le caratteristiche che avrebbero poi definito la letteratura del crimine di Agatha Christie e di Conan Doyle, perché è nei suoi romanzi che compaiono per la prima volta vecchie zitelle investigatrici, cadaveri in biblioteca, inchieste e testimoni qualificati. In particolare, è l’accuratezza nella descrizione delle procedure legali ad aver colpito la critica e i lettori, tanto che alcuni suoi libri furono usati come casi di studio alla facoltà di legge dell’università di Yale. Tra i suoi titoli più noti, Il caso Leavenworth (1878, tradotto anche con il titolo Le due cugine), e Due iniziali soltanto (1911).
Per molti critici le origini di quella che definiamo la letteratura “gialla” (il “giallo” deriva dal colore delle copertine scelto da Mondadori a partire dal 1929 per pubblicare storie noir o poliziesche) risalgono, oltre che alle opere di Wilkie Collins e di Anna Katherine Green, all’ancora precedente I delitti della Rue Morgue (1841) di Edgar Allan Poe. Questo è il primo dei tre racconti in cui compare il personaggio di Auguste Dupin, un investigatore che riesce a risolvere i casi criminali grazie alle sue enormi capacità deduttive. Il personaggio di Dupin crea un modello al quale si ispireranno quasi tutti i più importanti autori degli anni successivi: il più celebre dei suoi epigoni sarà Sherlock Holmes. (Nel primo libro in cui compare Sherlock Holmes, Uno studio in rosso, Watson paragona quest’ultimo proprio al Dupin di Poe. Holmes risponde dicendo di avere capacità ben superiori.) 
Questo racconto inaugura lo schema dell’“omicidio nella stanza chiusa” sfruttato in seguito da numerosi altri autori di racconti del crimine. In una notte, in un appartamento in Rue Morgue (si noti che “morgue” in inglese è l’obitorio) a Parigi, vengono assassinate l’anziana Madame L’Espanaye, trovata nel cortile interno mutilata e con la gola tagliata, e sua figlia Camille, strangolata e nascosta nella cappa del camino. La soluzione al caso offerta da Dupin è rimasta celebre nella storia della letteratura gialla per essere la più improbabile, ma l’unica possibile. Anche Sherlock Holmes dirà a un certo punto (Il segno dei quattro) che “Eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità”. Auguste Dupin è anche il protagonista di La lettera rubata, racconto del 1845 che fu successivamente studiato da Freud, da Lacan e da Derrida, e citato da Proust (Sodoma e Gomorra) e da Sciascia in Todo Modo, che sottolinea il principio per cui la verità è sotto gli occhi di tutti, ma proprio per questo nessuno la vede. 

Fine prima puntata.