14 febbraio 2016

In viaggio con Edith Wharton

Foto di Mara Barbuni, 2016
I miei libri sono tornati al loro posto sugli scaffali… posso dire che il trasloco è concluso! In quest’angolo di Svizzera in cui sono venuta a vivere si parla francese, e la Francia stessa si trova a pochissimi chilometri da qui, appena dietro le colline che vedo dalla mia finestra. Ispirata dal panorama e da una certa atmosfera di movimento, di europeità e di viaggio, ho letto Viaggio in Francia di Edith Wharton (Edizioni Franco Muzzio, trad. it. di G. Bernardi), un prezioso regalo ricevuto tempo fa da una persona che ha compreso la mia ricerca e la mia passione per il viaggiare letterario. 
Se ogni lettura è un viaggio, un libro di viaggio è il culmine della lettura. Viaggio in Francia (1908), in particolare, unisce alla descrizione degli itinerari – uno per ogni capitolo, da Boulogne alla Provenza – e alla rievocazione dei paesaggi delle indimenticabili riflessioni sulla natura stessa del viaggiare. È il racconto di due escursioni che la scrittrice “conseguì” (come diceva lei stessa) in automobile tra il marzo del 1906 e la primavera del 1907, accompagnata dal marito, dal fratello e dal carissimo amico Henry James. Immaginatevi le conversazioni…. 
Si spostavano a bordo di una Panhard, ed Edith era così innamorata della velocità e delle infinite possibilità offerte dal viaggio in automobile da esaltarne addirittura la “romanticità”: «L’automobile ha ridato qualità romantica al viaggio. Liberandoci da tutte le costrizioni della ferrovia […] ci ha restituito la meraviglia, l’avventura e il senso del nuovo». Ed è proprio di meraviglia che ci saziamo nel corso di questi percorsi tra le pagine, che ci fanno assaporare un inequivocabile senso di Francia: 
«Ci inoltrammo in silenziose strade secondarie e passammo attraverso qualche villaggio sconosciuto, e accanto a manieri di pietra grigia che occhieggiavano tra alti cespugli di lillà e di maggiociondolo, e lungo ombrosi affluenti».
«Tornammo di nuovo nel normale paesaggio della Senna, con le ridenti cittadine tutte vicine alle sponde, con i lillà e i glicini che traboccano dagli alti muri di recinzione, con i luminosi piccoli caffè sulle assolate piazze di paese, e le flottiglie di barche».
«Quando siete in automobile, [i villaggi] vi mandano suadenti richiami, vi inducono a fermare la vostra corsa, complicando poi le impressioni che già avevate, sconcertandovi perché vedete che avevate perso in parte il senso della gran ricchezza della Francia e dovete rinnovarlo». 
Chartres, Rouen, Avignone, i castelli della Loira… sono solo alcune delle destinazioni verso le quali Edith spinge la sua automobile, godendo della bellezza del paesaggio, dell’architettura, della cultura locale e del mistero delle conformazioni geologiche. 
Come scrive Mary S. Schriber nell’Introduzione, «il viaggio viene a costituire il ponte tra la vita americana e l’espatrio a Parigi, tra l’insoddisfazione estetica e intellettuale e la capacità di individuare e combattere quella insoddisfazione, tra il desiderio di scrivere e il materiale culturale per realizzare quel desiderio». 
Insofferente alle costrizioni sociali americane (di cui dà un pregevole ritratto in L’età dell’innocenza), Edith finì per trasferirsi stabilmente in Francia, onorando in tutti i modi possibili la sua terra d’elezione: acquistò case nel centro e nella periferia di Parigi e in Riviera, aprì un salon letterario, contribuì allo sforzo bellico recandosi anche nei pressi del fronte per scriverne delle cronache giornalistiche (Dai fronti opposti. Diari di guerra) e per questo fu insignita della Legion d’Onore. 


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