23 giugno 2017

Viaggio della memoria #2 - La geografia di Jane Austen

Proprio in questi giorni, un gruppo di Soci della Jane Austen Society of Italy sta visitando l’Inghilterra meridionale, in direzione delle tante tracce del passaggio biografico di Jane Austen. Approfitto di questa circostanza per dedicare la seconda tappa del viaggio della memoria proprio a “Austenland” e ai luoghi vissuti dalla scrittrice, che ho potuto vedere durante il mio soggiorno inglese. 
Chawton: il tavolino di Jane, il cottage visto dal
giardino, il viale d'accesso a Chawton House,
le tombe della madre e della sorella di Jane
Non posso che iniziare da Chawton, dove Austen visse con la madre, la sorella Cassandra e l’amica Martha Lloyd dal 1809 fino alla morte nel 1817. Il cottage è un bell’edificio di mattoni rossi circondato da uno splendido giardino; all’interno si possono visitare le stanze abitate dalle Austen e ammirare alcuni interessanti memorabilia, tra cui il più celebre è senza dubbio il calamaio con la penna, posato sul tavolino circolare su cui la scrittrice lavorò alle sue opere. 
Jane Austen morì a Winchester, in una casa al Numero 8 di College Street, ed è sepolta nella cattedrale: una destinazione immancabile per chi decida di compiere un viaggio austeniano; ma forse ancora più importante è visitare la città di Bath, dove la scrittrice visse per diversi anni e dove ambientò parte di Northanger Abbey e di Persuasione. Bath è un luogo incantevole e le passeggiate tra le inconfondibili mura in pietra color crema sono deliziose. 

Bath
Per chi ama un’atmosfera meno settecentesca e già spinta verso il Romanticismo, Lyme Regis, nel Dorsetshire, è una meta da non perdere. Le bottegucce, le stradine silenziose, il Cobb (dove Louisa Musgrove si ferisce, in Persuasione), il mare sempre fremente e le spiagge che a ogni bassa marea rivelano i loro tesori paleontologici rimarranno sempre nei ricordi di ogni visitatore.

Lyme Regis
Jane Austen vi trascorse due vacanze insieme ai genitori; nel corso di un’altra estate sul mare, nel Devonshire, incontrò, si dice, un uomo di cui si innamorò, ricambiata. L’attesa di poterlo rivedere, l’estate successiva, fu dolorosamente delusa dalla morte di lui. 
Infine, per tornare nello Hampshire, la città più grande della contea, Southampton, può valere una visita. Ho fatto una passeggiata intorno alle mura, in attesa di imbarcarmi sul traghetto che mi avrebbe condotta sull’isola di Wight, e ho scoperto che l’amministrazione cittadina ha dedicato a Jane Austen una sequenza di targhe che descrivono accuratamente le tracce del suo passaggio. 

Southampton
Per saperne di più sulla geografia austeniana, non potete perdere il diario di viaggio di Constance Hill Jane Austen: i luoghi e gli amici (Jo March - oggi disponibile in una nuova edizione). Se vi interessa l’aspetto della vita domestica e delle case di Jane Austen – sia quelle “reali” che quelle della narrazione – all’inizio di quest’anno la casa editrice flower-ed ha pubblicato il mio saggio Le case di Jane Austen. Ai luoghi austeniani ho dedicato anche un articolo («Una topografia del mondo di Jane Austen») uscito nell’ultimo numero della rivista Leggendaria.

21 giugno 2017

Viaggio della memoria. Prima tappa: Bristol e i Romantici

È il primo giorno d’estate, e come ogni anno mi crogiolo nei ricordi della “mia” Inghilterra – quell’isola incantata, alla quale non farei che ritornare, perché è il luogo in cui più che altrove riesco a sentirmi come dentro un libro (per quanto debba ammettere che la campagna della Svizzera Romanda, con le spighe dell’orzo sfiorate dal vento, che si stende oggi fuori dalla mia finestra, ci assomiglia molto…). 
Bristol - Cattedrale 
Dieci anni fa, di questi tempi, stavo pianificando una lunga permanenza, per motivi di studio, nel Regno Unito. Scrivevo la tesi di dottorato sulla poesia femminile del Romanticismo, e la sede del mio soggiorno non poteva che essere Bristol. Tra gli anni 1780 e 1830 la città era davvero il place to be, con una vitalità intellettuale e culturale straordinaria, che attirava pensatori, scrittori, artisti e militanti politici. Basti pensare che le Lyrical Ballads di Wordsworth e Coleridge, considerate la pietra miliare del Romanticismo inglese, furono pubblicate dall’editore Joseph Cottle, di Bristol. 

Tintern Abbey
Cottle ospitò Wordsworth e la sorella Dorothy nella propria casa di Wine Street nel 1798: nel corso di quel soggiorno i due fratelli visitarono Tintern Abbey (in Galles) e la celeberrima poesia di William, Lines Composed a Few Miles Above Tintern Abbey, fu terminata proprio in città. Scrive Wordsworth: «La iniziai lasciando Tintern, dopo aver attraversato il fiume Wye, e la conclusi, mentre rientravamo a Bristol, di sera, dopo un’escursione insieme a mia sorella durata quattro o cinque giorni. Nessuno dei suoi versi è stato modificato da allora, e nessuna parte fu scritta prima di raggiungere Bristol». Sappiamo infatti che il poeta era solito comporre i suoi versi ad alta voce, e metterli su carta in un momento successivo, affidandosi alla memoria (ce lo spiega lui stesso, del resto, in The Solitary Reaper). 
Non era la prima volta che William e Dorothy soggiornavano in città. Nel 1795 furono ospiti di un commerciante di zucchero, John Pretor Pinney, e in quell’occasione Wordsworth fu presentato a Cottle, a Robert Southey e a Coleridge. La casa di Pinney è oggi un museo, il Georgian House Museum, ad accesso libero: le undici stanze, distribuite su quattro piani, sono un’eccellente rappresentazione di struttura e di arredamento domestici nell’età georgiana. 

Georgian House Museum

Nel 1795, Coleridge, Southey, e George Burnett, i fondatori della Pantisocracy, condividevano una casa al numero 25 di College Street. Due anni dopo, Coleridge sarebbe tornato a Bristol per incontrare Anna Barbauld, allora ospite del reverendo unitariano John Prior Estlin in St. Michael’s Hill. Tra i protagonisti della cultura della città, infatti, si annoverano anche le donne: al Numero 43 di Park Street, Hannah More e le sue sorelle fondarono una scuola per ragazze, le cui materie principali erano il francese, la scrittura, l’aritmetica e il cucito. Tra le protette di Hannah More ci fu, per un periodo, Ann Yearsley, una promettente poetessa definita anche “la lattaia di Bristol” (viveva a Clifton Hill) per via del mestiere che svolgeva prima di diventare una scrittrice pubblicata. 
Tra il 1795 e il 1796, alla Rummer Tavern, in All Saints Lane, un gruppo di amici fondò The Watchman, un periodico radicale che pubblicava notizie, resoconti dei lavori parlamentari, saggi, poesia e recensioni: il direttore era Samuel Taylor Coleridge. In un altro esercizio pubblico, la White Lion Inn (che oggi non esiste più), il poeta tenne una serie di lezioni su Shakespeare; altre sue conferenze, di argomento politico, furono ospitate al Corn Market, in Wine Street. Legate a Coleridge sono anche la bellissima Queen Square (lo scrittore vi soggiornò nel 1813) e la chiesa di St. Mary Redcliffe, dove Coleridge sposò Sarah Fricker. 
St. Mary Redcliffe
Proprio a St. Mary Redcliffe il poeta Thomas Chatterton, originario di Bristol, dichiarò di aver ritrovato le poesie manoscritte del monaco del Seicento Thomas Rowley – poesie composte invece dallo stesso Chatterton. E parlando di Romanticismo e di pittoresco e sublime, non si può che ricordare l’Avon Gorge, la valle scavata dal fiume che era già una importante attrazione turistica all’inizio dell’Ottocento (oggi attraversata dal Clifton Suspension Bridge, inaugurato nel 1864) e che ancora oggi lascia un’impressione indelebile su chi cammina lungo il ponte. Nella sua elegia dedicata a Chatterton, Coleridge lo immagina intento a vagabondare sui margini della «ripa rocciosa dell’Avon», dove «fluttuano urlanti i gabbiani».

Clifton Suspension Bridge (cartolina)

7 giugno 2017

Casa Howard

Hayley Atwell e Matthew MacFayden,
protagonisti della miniserie BBC (2017)
Ho letto di recente che la BBC sta lavorando a una miniserie in quattro episodi ispirata a Howards End, il romanzo di Edward Morgan Forster da cui nel 1992 è stato tratto il bellissimo film di James Ivory, con Emma Thompson e Anthony Hopkins. Ho approfittato della notizia per rivedere il film e soprattutto per rileggere il libro, di cui mi sono procurata una nuova edizione (Mondadori, con traduzione di Paola Campioli); e come spesso accade quando si rientra in un romanzo visitato tanti e tanti anni prima, l’esperienza è stata molto diversa. Se è vero che siamo quello che leggiamo, è vero anche che ciò che leggiamo cambia a seconda dei nostri personali mutamenti. 
Casa Howard, scritto nel 1910, è un’indagine, ricca di simbologie, delle forze sociali, filosofiche ed economiche attive in Inghilterra nel mondo ancora pseudo-innocente che ha preceduto la prima guerra mondiale. La nazione si mostra al culmine del suo trionfo imperiale, eppure già manifesta il germe di una corrosiva falsa moralità e dei tormentosi dubbi sul futuro dell’Inghilterra. Come ha scritto Lionel Trilling, la domanda cruciale di questo romanzo è: “Chi erediterà l’Inghilterra?” – ci si chiede cioè quale sarà la classe sociale che darà una definizione all’identità della nazione. I tre ceti rappresentati nel romanzo sono la upper class che vive agiatamente di rendita, ovvero Margaret ed Helen Schlegel, colte, idealiste e dall’aria “straniera” (sono infatti di origine tedesca); i Wilcox, la middle class la cui ricchezza deriva dal lavoro, “inglesi” fino al midollo; e i coniugi Bast, che lottano quotidianamente con la povertà e lo spettro della perdita del lavoro e della reputazione. È naturalmente il Caso («ordinata follia», la chiama lo scrittore) a mettere in contatto questi tre gruppi sociali così diversi: le Schlegel incontrano i Wilcox in vacanza; successivamente, lo smarrimento di un ombrello innesca la strana amicizia tra le sorelle e il disgraziato Leonard Bast, la cui sorte Forster designa con una frase terribile, di un’attualità raggelante («la meno riuscita non è la carriera dell’uomo che è stato colto impreparato, ma di quello che si è preparato e non è mai stato colto. Su una tragedia di questo genere la morale del nostro paese mantiene il debito silenzio»). 
Le storie di questi personaggi si intrecciano intorno a tre perni simbolici fondamentali, che sono i libri, il denaro e la casa. Con i libri – di cui Margaret ed Helen (e il fratello destinato a Oxford) si nutrono quasi inconsciamente, perché fanno parte del tessuto connettivo della loro famiglia – Leonard tenta di sfuggire al penoso destino che gli è toccato: legge la sera, quando torna stanco dal lavoro, e nonostante le proteste della moglie meschina e ignorante; legge per migliorarsi, confidando che il suo futuro sarà migliore proprio grazie a una migliore istruzione. Di libri, invece, i Wilcox non si occupano mai, perché la rete di sostegno della loro famiglia è offerta dal lavoro che produce denaro. Anche con i soldi le ragazze Schlegel intrattengono un rapporto inconsapevole (ne hanno così tanti da non doversene preoccupare), ma, proprio per questo, quando decidono di intervenire nelle questioni finanziarie altrui generano confusione, e in ultima istanza la tragedia. 
E infine c’è la casa, che come suggerisce il titolo stesso del romanzo, è il centro attrattivo dell’intera azione. Casa Howard appartiene ai Wilcox, ma sono le sorelle Schlegel a innamorarsene davvero (illegittimamente, ma appassionatamente) e a restituirle la vita; il loro desiderio per quella casa è in fondo ciò che mette in moto la narrazione, ed è nello spazio della casa che questa si conclude, arrivando infine a dare una risposta alla questione portante del libro. Come scrive Forster, «Non sono i tipi come loro a creare gli spettacoli della storia: il mondo sarebbe un luogo grigio ed esangue se fosse interamente composto di signorine Schlegel. Ma, il mondo essendo quello che è, forse esse vi risplendono come stelle». 
Fotogramma dal film di James Ivory
L’immagine dell’Inghilterra che Forster offre in questo romanzo è un altro ingrediente della sua suggestività. L’idea di bellezza, e di libertà, e di movimento che le sue descrizioni ci regalano sono ancora più struggenti, se rilette alla luce della cronaca di questi giorni, in cui si ha quasi la tentazione di avere paura del viaggiare e del muoversi: «Margaret […] aveva forti sentimenti nei confronti delle varie stazioni ferroviarie di Londra. Sono le nostre porte verso il glorioso e l’ignoto. Attraverso di esse andiamo incontro al sole e all’avventura e a esse, ahimè, torniamo. Nella stazione di Paddington è latente tutta la Cornovaglia e il remoto occidente; in fondo al pendio di Liverpool Street si stendono le paludi e gli sconfinati Broads; la Scozia è oltre i piloni di Euston; il Wessex dietro l’equilibrato caos della stazione di Waterloo. […] A Margaret la stazione di King’s Cross aveva sempre suggerito l’infinito». È quasi cinematografica, poi, la visione del paese a volo d’uccello che ritroviamo nel capitolo 19: «Volendo mostrare l’Inghilterra a uno straniero, forse la cosa più saggia sarebbe condurlo sulle colline di Purbeck e farlo sostare sulla loro sommità. L’uno dopo l’altro i sistemi geografici della nostra isola si riunirebbero ai suoi piedi. […] Wight è bella oltre le leggi della bellezza. È come se un frammento d’Inghilterra fluttuasse incontro al forestiero per salutarlo. […] E dietro a questo frammento sta Southampton, ospite delle nazioni, e Portsmouth, un fuoco latente, mentre tutt’intorno turbina il mare. […] La ragione viene meno, come un’onda, sulla spiaggia di Swanage; l’immaginazione si gonfia, si allarga e si approfondisce, finché diventa geografica e circonda l’Inghilterra». 
Chi eredita, dunque, tutta questa bellezza? È un insolubile intreccio di classe, la più alta e la più bassa, imparentate con la solida borghesia, e destinate a riprodursi tra le quattro pareti di una casa, Howards End, che rappresenta la tradizione stessa dell’Inghilterra: i papaveri tra le spighe, gli alberi di susine, il campo da tennis, le siepi di rose canine, i gigli, i tulipani, l’olmo – la fertilità opulenta del suolo. In conclusione, «il piccolo, sbagliato incontro a Casa Howard era vitale. I suoi effetti si erano propagati fin dove rapporti più seri restavano sterili; era più forte dell’intimità tra sorelle, più forte della ragione o dei libri».